Un materiale da riscoprire: la Ferula communis
 

Un materiale da riscoprire: la Ferula communis

dicembre 2017
 

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neo~local design

 

Guardare in modo diverso un materiale dimenticato è la condizione necessaria per trasformarlo da rifiuto in risorsa. Attraverso un workshop di Neolocal design.

 
 

C’è una specie di dimenticanza che l’economia globalizzata sparge sulle differenze dei luoghi, imponendo prodotti e modi di vita standardizzati al prezzo di una enorme rimozione. Il design le è quasi sempre alleato, ma può anche lavorare controcorrente, affinando l’ascolto per riscoprire le particolarità di materiali, usi e saperi superstiti nei territori.

Una pianta come la Ferula communis, per esempio, è molto diffusa in Sardegna e fa da spia delle attività pastorali che tradizionalmente hanno modellato il paesaggio dell’isola. Fino a qualche generazione fa era utilizzata per la realizzazione di piccoli sgabelli e oggetti proto-artigianali, mentre oggi è vista come ingombrante rifiuto. Eppure potrebbe essere riscoperta come risorsa promettente, in termini di sostenibilità e qualità estetica.

Il workshop Km 5,8 ha preso ironicamente il nome dalla distanza effettiva tra il luogo della raccolta del materiale e quello della sua trasformazione. Nel corso di una settimana intensa ha posto la sfida di riscoprire, in maniera progettuale, le qualità della ferula e di metterle a frutto per un possibile utilizzo. Si trattava di sperimentare il materiale per quello che è – non come surrogato di più nobili essenze (legno, bambù) – senza addentrarsi sulle vie della ricerca ingegneristica.

Con Tibor Uhrín, designer slovacco esperto nelle lavorazioni del legno, e Marco Sironi (Uniss), otto studenti di design si son fatti un po’ apprendisti di bottega, un po’ artigiani, un po’ bricoleur. Si sono confrontati con la ferula in maniera molto sperimentale, per testarne le proprietà e le possibilità di lavorazione – taglio, foratura, giunzione, flessione – traendone spunti per la realizzazione di una piccola serie di prototipi che sono iniziali suggerimenti per una valorizzazione.

Praticando la sbucciatura delle verghe, lo spaccatura controllata in senso longitudinale, la legatura, l’unione degli steli mediante resine, i giovani designer hanno opposto allo sguardo distratto la curiosità e l’attenzione che anima il progettare. Così quello che abbiamo sotto gli occhi e tra le mani ritorna prezioso, se ripensato in modo da conseguire un effetto: le sezioni “nobili” dello stelo, ma anche quelle minori e minime; le lavorazioni utili all’impiego strutturale, come quelle più decorative e di superficie, ma aderenti alla consistenza specifica del materiale.

Il workshop ha coinvolto il ricercatore Emanuele Farris, per l’illustrazione degli aspetti etnobotanici e fitochimici, in relazione al problema della tossicità della pianta – che resta da indagare a fondo. È stato possibile coordinando le risorse dell’Ateneo sassarese e del Comune di Ittiri, grazie all’impegno di Nicolò Ceccarelli e di Francesco Puggioni.​

 

redazione

Nicolò Ceccarelli - Marco Sironi

 
nld