I Quilts di Gee’s Bend
 

I Quilts di Gee’s Bend

aprile 2018
 

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neo~local design

 

Nel passaggio di saperi tra generazioni di donne in una remota comunità nel sud dell’Alabama, i Quilts di Gee’s Bend aggiungono uno straordinario tassello di arte visiva a manifestazioni artistiche della cultura Afro-Americana quali il blues e il jazz.

 

 

La ‘scoperta’ dei quilts della comunità rurale di Gee’s Bend in Alabama ha messo in luce una preziosa componente della cultura Afro-Americana. E delle sue arti visive.

Nella ‘sacca’ di Gee, lungo l’Alabama river, direttamente nel cuore della ‘Black Belt’ e non distante da Selma, città simbolo della lotta per l’integrazione razziale condotta negli anni ’60 della comunità Afro-Americana, un gruppo di donne, nel solco di una radicata tradizione rurale Nordamericana ha per decenni confezionato i suoi quilts, le trapunte di casa.

Discendenti di una comunità di schiavi, in una zona che negli anni della Grande Depressione era stata indicata come tra le più povere del paese, le donne-artigiane di Gee’s Bend potevano utilizzare solo quel poco che c’era: campioni di tessuto, pezze di vestiti da lavoro smessi, la tela dei sacchi di fertilizzante. Un’attività cui si potevano dedicare nelle pause stagionali del lavoro nei campi e nei ritagli di tempo liberi dalle molte incombenze quotidiane.

‘Negroes, descendants of former slaves of the Pettway Plantation’, 1937, Gees Bend, Alabama, Arthur Rothstein per la U.S. Farm Security Administration.

 

‘Girl at Gees Bend’ (Artelia Bendolph), 1937, fotografia di Arthur Rothstein per la U.S. Farm Security Administration (Library of Congress).


È il cosiddetto patchwork, che nella tradizione dei quilt corrisponde al mettere assieme, frammenti, pezzi; con l’obbiettivo di combinare l’utile a un desiderio di espressione artistica. Un termine che richiama un’esperienza umana molto particolare. Qui usata per richiamare pratiche lontane di cucito; di lavoro manuale a lungo svolto dalle donne in molte parti del mondo, ma da qualche tempo riferita anche a modi di lavorare e di vivere.

L’estremo isolamento della comunità e le particolari condizioni di un ‘saper fare’ tramandato tra le donne di casa, generazione dopo generazione, porta i quilts di Gee’s Bend a una formula del tutto originale.

Si tratta di composizioni di straordinaria semplicità minimalista, in cui l’indaco e il blu stinto dei vecchi jeans da lavoro è mescolato, con grande sensibilità, in trionfi geometrici punteggiati da frammenti arancio, senape, rosso fuoco; e altre tinte vivaci.  

Work-clothes quilt with center medallion of strips, 1976, Annie Mae Young.
Photo: Stephen Pitkin/Pitkin Studio  The Metropolitan Museum of Art.
 

E mentre dall’assoluta povertà di risorse è emersa una capacità creativa fuori dall’ordinario, la mancanza di contatti esterni ha garantito una inusuale continuità culturale nel trasferimento di saperi anche attraverso tre o quattro generazioni di donne in una stessa famiglia.

 House top sampler variation, 1950s, Annie Mae Young.
String-pieced quilt, Loretta Pettway, 1960.
Souls Grown Deep Foundation.


Proprio come è avvenuto con i gospel, da cui derivano i percorsi che, attraversando gli anni bui dello schiavismo, hanno portato al blues e al jazz, questa unica forma di arte visiva richiama direttamente la cultura di origine delle donne e degli uomini africani, costretti a lavorare nelle piantagioni di cotone e – come sottolinea Peter Marzio, Direttore dello Houston Museum of Fine Arts, nella sua introduzione al primo volume  che ha celebrato ……(Beardsley, J., The quilt of Gee’s Bend, Tinwood books, Atlanta Georgia, USA, 2002) – “spogliati da tutto se non dalla loro memoria”.

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Nella loro unicità e grazie alla loro capacità espressiva, i quilts delle donne di Gee’s Bend richiamano istintivamente a pezzi di vicende umane, contesti peculiari, fasi storiche e una particolare componente di popolazione: le donne; e suggerisce, attraverso prodotti di uso quotidiano in cui obbiettivi pratici e creatività trovano una sintesi perfetta, chiavi di lettura del vivere umano.

 

Nicolò Ceccarelli

Professore Associato, Architettura Ad Alghero

 

Professore Associato in Design presso il Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica di Alghero-Sassari. Nel corso degli anni ha orientato il suo lavoro di ricerca verso le interazioni tra design e tecnologia digitale, lavorando su diversi fronti tra cui la modellazione e la visualizzazione 3D, l’esplorazione di nuovi linguaggi per rendere le informazioni accessibili attraverso il visual design. Più recentemente, nel suo laboratorio di ricerca ‘animazionedesign’, ha iniziato a lavorare sull’idea di un design attento alla dimensione locale, lavorando all'estero, in Marocco e in Palestina, e attorno a temi della Sardegna, con i progetti per Expo2015, la divulgazione scientifica del Museo storico della sua Università e la mostra PastFuture alla Triennale di Milano.

Dopo aver organizzato e guidato la seconda edizione della Conferenza internazionale di Design
'2CO_COmmunicating Complexity’ (Tenerife, isole Canarie, Spagna, Novembre 2017), Nicolò sta immergendosi in un nuovo progetto di ricerca, finanziato dalla Regione Sardegna, sulla visualizzazione degli 'Statuti Sassaresi' un codice manoscritto dell'inizio del 14 secolo.

 
Ceccarelli